Lo stress
In tempi passati
quando il lavoro fisico era durissimo e lasciava poco spazio al cosiddetto
"tempo libero" nessuno si era accorto
dello stress. Poiché lo stress è sicuramente una forma di stanchezza
psicologica e non fisica. Il passaggio progressivo da compiti manuali e
ripetitivi a quelli creativi e di responsabilità ha spostato il luogo
della nostra stanchezza: non più nei muscoli, ma nel sistema nervoso.
Lo stress è una stanchezza che non ti lascia mai, non si conclude
con il lavoro, si prolunga nel tempo libero, che appunto non è più libero.
E' una morsa fissa.
Gli uomini di oggi vivono più a lungo, ma molti si sentono sfuggire la vita, perché hanno perduto la capacità di goderla a
causa dello stress. Ricominciare a camminare, fare escursioni è un buon antidoto allo stress.
Il tempo
Una delle facce
dello stress , forse la principale, è la mancanza
di tempo.
Le attività dell'uomo si sono moltiplicate a dismisura, i contatti, gli
appuntamenti, gli interessi. Prima o poi tutti
proviamo l'ansia del tempo che passa senza aver concluso tutto quello che
avevamo programmato, o l'angoscia del tempo della nostra vita che passa e
ci invecchia senza averla usata come speravamo. Il tempo è tiranno, dice
un proverbio.
Fare escursionismo significa tornare padroni del tempo.
Programmare un'intera giornata a disposizione solo per la gita crea
le condizioni giuste per ridurre i compiti da svolgere, elimina una serie
di rituali che si svolgono ad ore precise (andare
al lavoro o a scuola, pranzare o cenare ad una data ora, guardare un certo
programma tv...). L'escursione, una volta iniziata, consente di fare a meno
dell'orologio: puoi fermarti a mangiare o bere quando hai fame, puoi
scattare una foto quando t'imbatti nel soggetto giusto, puoi riposarti
quando si stanco. Se qualcuno del gruppo va più piano perchè
ha meno energie, oppure è a te che va di andare
con calma, e l'escursione dura un'ora di più non succede niente, proprio
niente: tutto è ugualmente ok.
la velocità
Nessun
mezzo di locomozione è più lento delle nostre gambe.
La tecnica ci ha regalato
via via mezzi di locomozione più rapidi, di cui possiamo approfittare -
stando praticamente immobili - per
spostarci a grandi distanze a velocità sempre crescenti.
Il desiderio di aumentare la velocità è legato all'illusione che, facendo
prima, ci rimarrebbe più tempo libero a disposizione. Ma
si tratta di un miraggio. Poiché il tempo risparmiato sarà utilizzato per
risparmiarne dell'altro, in una catena di eventi senza fine che ci sfianca
e ci lascia senza tempo, cioè col tempo "vuoto" (quello della
noia e della insoddisfazione). A forza di
concentrarci sulla velocità per risparmiare tempo - un'attività cui
ci dedichiamo a tempo pieno - non sappiamo più a cosa serve il tempo
libero, non sappiamo di cosa riempirlo: perciò o rimane vuoto
(senso di solitudine e di inutilità, che alla
lunga conduce alla depressione) o - all'opposto - cerchiamo di metterci
dentro un'infinità di cose da fare, col risultato di farle di corsa e alla
fine rimanere con la sensazione di non aver avuto abbastanza tempo (che
alla lunga conduce all'ansia cronica).
La fretta è cattiva consigliera dice un altro proverbio. E la fretta
genera ansia, causa errori, rovina le relazioni.
La fretta impedisce di vedere, ascoltare, pensare, gustare e quindi
conoscere, sapere, creare.
Partecipare ad un'escursione significa interrompere il flusso
tumultuoso degli eventi. Vuol dire osservare senza lasciarsi travolgere.
Vuol dire resistere al turbine degli impegni che ti divorano. Camminare
senza altro scopo che quello di raggiungere una meta ( e
una sola) genera un rilassante senso di fiducia. Produce una forza
tranquilla. Un'energia positiva che migliora l'autostima.
La lentezza del gesto ripetitivo e lento del camminatore è
paradossalmente simbolo di costanza ed energia. Chi va piano va
sano e va lontano dice un altro proverbio, o meglio, è il caso di sottolinearlo, un "adagio".
il rumore
Nella civiltà del lavoro
e dei centri abitati non esiste il suono, ma un accavallarsi di suoni:
il rumore, altra fonte di inquinamento del
nostro sistema nervoso.
Il rumore ostacola la concentrazione. Crea pericolo e desta allarme.
Molti rumori sono un misto di suoni conosciuti e sconosciuti. Lo sforzo di
distinguere gli uni dagli altri ci sottrae preziose energie.
Camminare in un bosco (sul sentiero sassoso, sull'erba, in mezzo alle
foglie dell'autunno), lungo le rive di un torrente o su una traccia di neve
ci espone a suoni semplici, prevedibili e previsti, che non impegnano il
nostro udito in un estenuante sforzo di riconoscimento.
I suoni della natura (il crepitio del fuoco, l'acqua che scorre, la
pioggia, il vento, il canto degli uccelli) sono facilmente riconoscibili,
perché da tempi lunghissimi si sono depositati nella parte più riposta e
primitiva del cervello umano. E' come se li conoscessimo da sempre. Sono il
segnale indelebile della nostra vita trascorsa per millenni all'aperto, in
mezzo a quei suoni e a quelli soltanto. Perciò li percepiamo come
piacevoli.
lo spazio
L'ambiente abitato
dall'uomo (le
città specialmente) è affollato. E' uno spazio stretto che coagula
una grande quantità di persone e oggetti a strettissimo contatto.
Formare un gruppo, una comunità, riunirsi sono
necessità fisiologiche delle società umane.
Ma quando lo spazio personale di ciascun individuo si riduce troppo aumenta la tensione dei singoli e quella
dell'intera comunità, come ben dimostrano le cronache quotidiane.
Camminare all'aperto, lungo la riva del mare o su un ripido sentiero di
montagna, ci libera dal senso di soffocamento offrendoci i più larghi
orizzonti. Il massimo dello spazio e del piacere si raggiunge, come tutti sanno, sulla cima di una montagna o
immergendosi su un fondale marino profondo.
Di fronte al grande spazio l'uomo avverte anche il brivido della propria
fragilità. La solitudine che si prova ad essere
immersi nel grande spazio ci spinge di nuovo fra gli altri, di cui abbiamo
per natura bisogno.
Tutti i nuovi escursionisti all'inizio si meravigliano del fatto che sul
sentiero ci si saluta cordialmente tra sconosciuti. Ma
subito capiscono che è normale ed è anche una loro necessità.
Ogni tanto è bene provare la solitudine se vogliamo imparare a stare bene
con noi stessi e con gli altri.
la luce
L'ambiente urbano è il
luogo che, per la sua stessa struttura, frazione e limita la luce. I
palazzi alti della periferia, le strade strette dei centri storici rendono
più buie le città. La gran parte delle ore trascorse in luoghi di
lavoro o tra le mura domestiche riduce ancora più la quota di luce a cui ci esponiamo. Per di più la luce che riceviamo è
spesso artificiale e non solo di notte.
Oggi sappiamo che certi stati depressivi insorgono o sono favoriti da
una carenza di luce naturale (seasonal
depression) tant'è che ore di luce in più
vengono somministrate dai medici a questi pazienti. Tutti comunque ci siamo
sentiti più energici aprendo le finestre su un bel mattino azzurro e soleggiato
e viceversa ci siamo sentiti più mosci in un giorno uggioso e grigio. La
primavera che porta più ore di luce è da tutti gradita. E ora capiamo
perché i popoli del Nord Europa amano così tanto
il sole mediterraneo.
Anche noi, come le
piante, abbiamo bisogno di luce.Niente
è più luminoso del cielo.
Camminare all'aria aperta sotto il grande cielo è un bagno di luce.
Rigeneratore. Energizzante. Più di qualunque "ricostituente" plurivitaminico. E gratis!
i colori
I colori della
città e dei luoghi di lavoro sono grigi, scuri, privi di vita. I motivi ?
Tanti. Ad esempio lo smog (industrie, riscaldamenti, veicoli) che si
deposita ovunque (perfino i polmoni diventano grigio
scuri): anche la neve si sporca quasi subito. E anche gli
abiti che si usano in città sono di colore scuro, un pò
per apparire più magri (e poter continuare a mangiare di più ...) un pò per mimetizzarsi nello sporco delle città.
Fuori, nel mondo all'aperto, i colori delle stagioni sono luminosi,
brillanti, limpidi. Perfino il grigio delle nuvole piene di pioggia ha
più colore della strada principale di una metropoli.
E anche gli abiti per fare escursionismo o arrampicata o mountain bike sono
pieni di colori vivaci e gioiosi, come sottolineassero
il senso di libertà e la voglia di gioco di chi sceglie di tornare a
percorrere il mondo.
i ritmi
Chiusi nelle nostre
case, addomesticati dalle tv, abbiamo perso il senso dei nostri ritmi
biologici, che pure si fondano ancora su quelli dell'alternarsi del giorno alla notte e delle stagioni: così viviamo di notte,
dormiamo di giorno, si va a prendere il sole al mare d'inverno (nell'altro
emisfero). La disconnessione tra ritmo biologico e necessità sociali
porta a gravi squilibri e disturbi psicosomatici. Primo fra tutti
l'insonnia. E quindi la stanchezza e l'incapacità a
concentrarsi. Costringersi ai nuovi ritmi sociali imposti dalla
società del mercato è una forzatura che, prima o
poi, si paga sotto forma di stress.
Camminare stanca. E questo fa bene.
La stanchezza muscolare è chiara e non fa paura (la stanchezza fisica
generata dall'ansia fa paura, allarma, genera
altra ansia e ancora stanchezza). Una bella camminata concilia un sonno
profondo e riposante. Solo la stanchezza fisica ci permette di
riconoscere il piacere del riposo. Il mattino dopo ci si sveglia
rilassati e con la voglia di fare. Chi si riposa sempre è sempre stanco.
gli altri
Fare escursionismo
non significa fuggire gli altri. L'uomo ha bisogno degli altri. Pochissimi sono
quelli che se ne vanno in giro per sentieri e montagne in piena solitudine.
Si va in compagnia di qualcuno. Familiari, amici. Qualcuno
con cui parlare, con cui condividere esperienze, timori, avventure, con cui
spartirsi il freddo, la fame, la stanchezza ma anche la luce, i
colori, i suoni. Qualcuno, un numero finito, e non la folla, un numero
infinito, che equivale a nessuno.
Fare escursionismo significa esplorare gli altri, con calma, a fondo. E
farsi esplorare. Significa dare valore agli uomini, alle persone, agli
uguali anche nella loro apparente diversità. Ecco perché nascono i Gruppi
Escursionistici.
Ecco perché siamo qua.
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